18 Maggio 2020 – Covid19 Fase due.
Roberto Brumat intervista Mauro Verteramo.
Prosegue l’intervista allo psicoanalista junghiano Mauro Verteramo di Padova, per avere un’interpretazione diversa da quelle sanitaria ed economica sugli effetti del Coronavirus.
Ora siamo arrivati alla Fase 2 e si assiste allo “scontro” tra due diverse posizioni: quella di chi vuol tornare al più presto alla normalità di prima e quella di chi pretende prudenza. Cosa si può dire?
Che come tipico stiamo rimuovendo l’esperienza di morte e di tragedia che il virus ci ha fatto vivere. Dimenticare la morte è comprensibile e in fondo naturale ma farlo velocemente non è la soluzione giusta se davvero vogliamo andare avanti in una direzione nuova. La morte è importante perché fa nascere il senso del limite, crea la differenza tra l’adulto responsabile e l’adolescente onnipotente, tra chi sente che l’altro è importante per la propria vita e come tale lo protegge e chi invece vede l’altro come un oggetto da consumare. Questo virus ci ha riavvicinato e reso più intima la morte, obbligandoci a rivedere i valori della esistenza. Ci ha fatto rimettere al primo posto la vita e l’etica della relazione. In una parola ha rimesso l’uomo al centro dei nostri interessi affettivi. Da un certo punto il virus è per l’Occidente la possibilità per un nuovo umanesimo.
Chi tenta di fuggire velocemente da questo stato di cose direi che è “vecchio” nel senso che si sta comportando come prima del virus dove la rimozione della morte era la regola, evita in maniera onnipotente la morte che ancora ci scorre accanto.
Ma perché questa veloce rimozione?…
Perché c’è ansia di uscire dalla sensazione d’ impotenza dettata dal senso del limite che in questi mesi ci ha accompagnato. Sarebbe invece importante l’equilibrio, cioè riuscire a tenere insieme la natura (che azzoppandoci in questi mesi ci ha come voluto dire qualcosa) con la cultura e le sue esigenze sociali, economiche, ecc. Non possiamo pensare di correre (e nemmeno di camminare) se siamo stati azzoppati e se non integriamo in un’armonia l’equilibrio di queste due gambe, non si può cioè correre veloce con una gamba e lenti con l’altra. C’è necessità di tenere conto di ambedue così che avremo un passo coerente e rinnovato dalla esperienza di azzoppamento. Il nuovo andamento nasce dal limite acquisito.
Cosa è cambiato psicologicamente tra la fase 1 e la fase 2?
Osserviamo la comunicazione: prima l’informazione ci veniva dagli scienziati, ora il posto è stato ripreso dai politici, con la loro dialettica che cerca di prescindere dalla visione sanitaria: lo vediamo nei tg dove il numero dei morti non è più in primo piano e si dice “Oggi sono morte solo 200 persone…”
Nella Fase 1 tutta la comunità ha vissuto una specie di regressione collettiva e siamo stati come bambini in una condizione di innocenza. Altri ci proteggevano e si curavano di noi per evitare di farci ammalare e morire anzitempo: i medici, lo Stato con tutti i suoi organismi che addirittura ci punivano se cercavamo di metterci in pericolo. Quella fase è stata come fare ritorno in un grande utero materno, abbiamo vissuto in una sorta di Eden nella nostra casa che racchiudeva tutta la nostra realtà perché il pericolo stava fuori. Da una parte c’eravamo noi, la vita biologica, dall’altra c’era lo Stato, il Governo, che come un grande genitore dettava per noi le regole di convivenza organizzandoci e anche limitandoci la libertà, come si fa con i bambini. Questo grande genitore è stato il ricettacolo delle nostre proiezioni di guida, di orientamento, di sostegno, di limitazione.
Nella Fase 2 queste funzioni che avevamo proiettato sullo Stato e che esso ci aveva personificato ci ritornano indietro; come adolescenti in crescita ci viene richiesto di riprenderci e di riportare nella nostra soggettività quelle funzioni di responsabilità, di limitazione, di attenzione sociale, di solidarietà. Dopo una sorta di bagno collettivo è come se queste due funzioni ora dovessero rientrare, rinnovate, dentro l’individuo. Usando una metafora filosofica si può dire che il corpo, la mente e aggiungerei soprattutto la loro relazione per qualche tempo si sono fatti un bagno nel grande mare della vita e della ragione o, se vogliamo, della materia e dello spirito. L’estrema dialettica che c’era nella fase 1 tra vita da una parte e legge dall’altra ora nella fase 2 si è relativizzata; è una tensione che deve abitare sempre di più il dentro dell’individuo. Si vedrà ora che effetti e che conseguenze ci restituisce questa sorta di “rigenitorializzazione”, di rinnovamento delle nostre figure esistenziali. Siamo appunto in una rinascita e/o ripartenza.
Si vedono già nuovi comportamenti?
Per ora assistiamo a diversi comportamenti; per esempio ci sono persone che in questo passaggio dicono di non aver voglia di ritornare alla dinamica sociale di prima. Se da una parte ciò è comprensibile e condivisibile (in fondo questo virus è stato anche il segnale per un sistema eccessivo e scompensato), dall’altra è chiaro che regrediti come bambini si fa fatica a riprendersi lo spazio di autonomia e vorrebbero essere ancora dipendenti e accuditi. Oppure c’è chi ribellandosi continuamente alle regole delle ordinanze dimostra lo stesso una posizione dipendente come i primi: come farebbero a vivere senza nessuno cui ribellarsi?
In fondo all’uomo per un verso o per l’altro piace essere dipendente. La vera libertà individuale costa sempre una tensione tra sé e sé, diventando un equilibrio da bilanciare continuamente tra esigenze personali ed esigenze sociali. Però vorrei sottolineare ciò che accade ad altre persone che in questo periodo invece sentono e percepiscono che molte delle loro antiche e concrete difficoltà si stanno sciogliendo. Non sono pochi quelli in cui assisto come un progresso, un cambiamento e una trasformazione della loro situazione personale. Come se stessero facendo un passaggio di crescita molto importante, come se situazioni reali bloccate da tempo si stessero sciogliendo.
Ma allora questo virus ha davvero un significato molto profondo per le nostre vite?
Si. Considero questo virus non (solo) una vicenda oggettiva, di sanità o sociale, ma soprattutto una questione individuale. È come una domanda posta a ogni singola persona, è nell’interiorità che deve e vuole fare rumore. È il mondo interiore e privato di ognuno che vuole modificare, quello dei propri conflitti familiari, col collega di lavoro, col vicino, ecc. E’ a questo stato di cose che la pandemia chiede un cambiamento. In fondo la pandemia è proprio il sintomo che la “relazione umana” si è ammalata. E non la relazione come cosa astratta ma quella concreta, più intima e personale di ognuno col suo prossimo. Non possiamo cambiare una società e il suo modo di vivere se non cambia la psicologia di ogni singola persona. La vita ha dovuto creare un sintomo nella relazione e per la relazione affinché la persona si fermasse. E quindi è al singolo soggetto e alla sua vita privata che viene chiesto un cambiamento. Essere stati toccati dalla morte ha voluto proprio significare questa sveglia.
Questo si riscontra anche negli atteggiamenti dei pazienti in analisi?
Si, a diverse persone non fa per niente piacere tornare alla vita di prima perché richiedeva forti stress e competizione. Ci si chiede: Serviva davvero tutto questo? Abbiamo letto tutti i dati Istat sulla mortalità in Italia, calata a marzo (rispetto allo scorso anno) nelle aree meno colpite dal virus: come dire che (virus a parte) gli italiani sono morti di meno e ci sono stati meno infarti per le condizioni meno stressanti vissute nel confinamento. Alcuni pazienti mi hanno manifestato la voglia di proseguire solo con le sedute online e di non tornare a quelle in studio ma come si può vedere anche questo sarebbe una regressione, un adagiarsi in un modello di relazione che era buono due mesi fa ma che oggi sarebbe già un po’ astorico; come vede ci abituiamo facilmente alle regressioni e la libertà ci costa sempre una fatica.
Ma questa voglia di normalità è in genere richiesta dalla popolazione…
La normalità di prima era evidentemente già sintomatica di qualcosa, il virus ne è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso; non possiamo più tornare a prima, è meglio pensare di far nascere qualcosa di nuovo. Credo che non coglieremmo un’occasione se non facessimo nascere un po’ di nuovo. Immagini un parto.. non c’è nuova nascita senza dolore, quello che abbiamo passato nei mesi scorsi è il segno che qualcosa di nuovo è in gioco. Non andrebbe sprecato ma visto come il dolore necessario quando si è in una separazione da fare al fine di un rinnovamento affettivo. È sempre entrando dentro i nodi che li attraversiamo.
Possiamo paragonare questa fase a quella in cui un bambino è chiamato a fare i primi passi. Ci sono bambini che provano a correre e cadono; altri sono spaventati e restano fermi; altri ancora si muovono poco per volta a piccoli passi finché acquisiscono la necessaria sicurezza. Siamo chiamati a far nascere dei nuovi passi e un segno della crescita avvenuta sarà quando sapremo tenere assieme regola e libertà.
C’è il rischio (per alcuni la speranza) di dimenticarci la brutta esperienza vissuta?
Sarebbe un grave errore. Non far tesoro delle esperienze significa scoprire che in seguito la vita ci metterà di nuovo di fronte alle stesse situazioni. Come un maestro delle scuole elementari ripete le cose finché non sono apprese così è un po’ la vita, ci ripete le cose fino a quando non afferriamo il senso. È lì che questa pandemia sarà superata, quando avremo fatto nascere un nuovo senso al nostro vivere quotidiano. In fondo il nodo di un sintomo si supera anche quando troviamo per esso un simbolo che lo scioglie.
E la battaglia tra apertura e chiusura?
Questa pandemia sta rinnovando lo spirito del nostro tempo. Tutti i miti parlano di rinnovamento che avviene attraverso l’espressione della morte. Possiamo immaginare che Il Covid 19 ci ha portato dentro una sorta di battaglia tra i due estremi del tempo: quello conservativo e quello del rinnovamento. Un mito con cui i nostri antichi Greci si davano una spiegazione di questo gioco del tempo era un Dio dicotomico, doppio: da un lato era Ermete (o Mercurio) un giovane veloce, con le ali ai piedi, correva in aria e coglieva le occasioni al volo; dall’altro era rappresentato come Saturno, antico vegliardo, lento e malinconico custode dell’ ordine, del blocco, della conservazione, della morte.
Questo dio ambivalente simboleggiava lo scontro tra vecchio e nuovo e veniva anche raffigurato con metà testa canuta (posteriore) e metà dotata di capigliatura e ciuffo. Quando voleva comunicare con gli uomini non mandava certo messaggi chiari ma si manifestava creando appunto difficoltà nelle relazioni, perturbando l’adattamento tranquillo, a segno che c’era un rivolgimento tra vecchio e nuovo e che l’ equilibrio tra stabilità e rinnovamento si era rimesso in gioco.
Cosa c’entra con quello che ci accade?
La prova concreta che i miti sono davvero sempre attivi nella nostra vita e non sono un racconto per bambini la troviamo nel passaggio dalla “fase uno” alla “fase due” di questa pandemia. Percepiamo chiaramente che l’energia è cambiata, che l’unità che ci coinvolgeva due mesi fa non c’è più e ci sentiamo tutti più frammentati. Se prima eravamo tutti uniti nelle nostre case ma separati gli uni dagli altri, ora l’unità e la separazione sono diventate più relative, riducendosi ad essere una dialettica sempre meno collettiva e più personale. Il mondo sta cambiando e noi con esso.
Credo sia utile allora vedere quello che sta accadendo nella pandemia soprattutto attraverso la lente che un mito ci offre, per sottolineare come proprio in questa alterazione della relazione concreta tra le persone sia in atto un processo di rinnovamento del nostro tempo. Un mito ci racconta sempre come funzionano i grandi cambiamenti.
E perché proprio questo mito?
Perché ritengo rappresenti al meglio la situazione attuale. È simpatico sottolineare che questa era la divinità che proteggeva commercianti, comunicatori, ladri, maghi, bugiardi; se pensiamo a quanto questa pandemia blocchi e metta in discussione l’industria e il commercio o come tutti si sia immersi in questa grande bolla dei media tra fake news e verità dei fatti. Morte, blocco, voglia di fughe in avanti, possibilità di ricadute, commercio, soldi, comunicazioni da interpretare, runner che corrono veloci e che devono essere bloccati, ecc attivano proprio tutto lo sfondo di questo antico mito di cui, se vuole, il respiro e l’aria erano il regno.
Vecchio e nuovo che confliggono quindi?
Si; e la relazione umana è il luogo dove questo conflitto si sta manifestando.. e rappresentando.
La soluzione quindi?
È necessario tenere insieme i concetti di rinnovamento e di conservazione. Paradossalmente chi preme per velocizzare a tutti i costi la riapertura appartiene al vecchio, alla conservazione. In un gesto possiamo vedere la dicotomia di Mercurio/Saturno, cioè di come “giovane e vecchio” siano da vedere sempre insieme. Ripensando alle pressioni fatte nella Bergamasca per tenere aperte le industrie in piena pandemia: il risultato è stato il 586% di mortalità in più rispetto allo stesso periodo del 2019: una risposta vecchia a un fenomeno nuovo. Non andare né troppo forte né troppo piano. Non rimuovere, velocemente, l’esperienza di morte che abbiamo fatto. Lasciare che questa esperienza faccia col suo tempo il suo corso dentro di noi evitando di fuggirla con risposte maniacali veloci. Perché chi è stato toccato da vicino da una malattia o da un lutto assume una consapevolezza del tutto nuova della vita; sia esso una singola persona o un’intera comunità. A questo rinnovamento va lasciato il tempo di instaurarsi e non va disturbato. Il rinnovamento necessita di portarsi dietro le ferite che la vita ci da’.
Quindi concludendo dove stiamo andando, dove ci portano questo tempo e questi eventi?
Ad un’attenzione rinnovata alla vita perché più meditata e attenta alla relazione tra noi e il nostro vicino prossimo. Cioè ad una nuova autocoscienza. Torneremo a respirare di nuovo, ma pian piano, come vecchi ringiovaniti, attenti alla vita perché saggi del tempo e delle ferite passate.