31 marzo 2020
Roberto Brumat intervista Mauro Verteramo
Dialogo con lo psicoanalista: “Dare un senso alla Pandemia”
Roberto Brumat:
Ognuno di noi in casa sua vive un isolamento forzato: anche se magari accanto ai propri cari, non può uscire, vedere amici e parenti, lavorare o fare quello che vorrebbe, anche solo passeggiare in centro o lungo il fiume. E tutto non per il capriccio di uno Stato di polizia, ma per salvare se stesso e gli altri da una possibile morte prematura. Non questione di poco conto.
La paura quindi. Paura e responsabilità di prestare massima attenzione ai propri comportamenti. Come legge la paura del virus chi studia la psiche umana; e cosa muove la pandemia? Mauro Verteramo, psicoanalista junghiano a Padova, lo spiega così.
VITA E SOPRAVVIVENZA
Scenari così grandi aprono diverse spiegazioni. Nel giro di qualche settimana abbiamo perso l’orizzonte di senso dentro il quale vivevamo; è stato difficile lasciarlo andare, lo dimostra la lentezza con cui abbiamo modificato i nostri comportamenti entrando pian piano in un crocevia nebuloso dove ci siamo fermati. Questa sensazione è tipica delle grandi trasformazioni e dei grandi cambiamenti, nei quali quell’involucro che ci era familiare e ci dava contenimento e prospettiva, si è come improvvisamente sclerotizzato; i suoi simboli, come torce che si affievoliscono sul sentiero, non fanno più tanta luce al cammino. Siamo davvero in una selva oscura e in questo buio improvviso ci sentiamo presi da qualcosa di atavico: l’irrazionale panico della mancanza di orientamento e della perdita del controllo. Ci siamo fermati, sospendendo la vita, per entrare nella sopravvivenza, situazione caratterizzata sempre da forti estremizzazioni. Altri comportamenti ci saranno chiesti e un nuovo adattamento ci attende, ma servirà tempo. Per ora aspettiamo, sospesi, chiamati a resistere sperimentando l’angoscia, il panico, l’incubo di un futuro incerto. la prova che ora ci viene richiesta è questa: consegnarci all’angoscia senza perdere la nostra consapevolezza. Evitarla e negarla sarebbe peggio. E non è un’angoscia leggera, è quella vera, angoscia di morte, ciò che l’Occidente ha da molto tempo rimosso allontanandoci dai ritmi della natura di cui la morte è, con la vita, parte integrante.
Ma andiamo per gradi. Vorremmo che una luce si aprisse improvvisamente e tutto tornasse come prima; ma se i pensieri e le informazioni viaggiano veloci, ciò non vale per la nostra psiche, che è più lenta perché naturale al di là della nostra stessa idea di natura. Le dinamiche che stiamo sperimentando in questi giorni vanno lette in fondo come richieste che ci vengono dalla Psiche, intendendo per Psiche la relazione di adattamento con ciò che è fuori di noi (persone, ambiente) e con ciò che è dentro di noi, desideri, impulsi, emozioni, sentimenti, ecc.
LA REALTA’ DELLA PSICHE
In momenti così grandi capiamo che più che avere noi la Psiche, è lei ad avere noi. La “nostra” psiche è la punta dell’iceberg; noi la diciamo “nostra” per un senso di controllo e solo per questo. Il resto è sommerso ed è la parte più grande. In ogni caso quando “Psiche” (mi piace identificarla come una persona autonoma, al di là di me e di noi), vuole comunicarci qualcosa, ha un modo tutto suo per farlo, come sa bene chi ha attraversato problemi esistenziali. Il suo è un richiamo a volte leggero, a volte pesante, ma sempre e comunque reale, cioè capace di smuovere la quotidianità della vita che abbiamo scelto: nelle relazioni, nel lavoro, nella salute. Se non percepiamo i suoi suggerimenti “sottovoce”, la Psiche (quella individuale e oggi anche quella collettiva) interviene dandoci uno shock violento poiché solo in questo modo possiamo scoprire, riscoprire, o comunque renderci coscienti del suo funzionamento naturale e della necessità di svilupparci come individui e come collettività. La Psiche ha una sua autonomia e le esigenze di trasformazione a cui essa ci richiama sfuggono al nostro controllo: infatti se i nostri progetti sono dell’io il nostro il destino è dell’inconscio.
Nulla avviene per caso si sente spesso dichiarare, ma tutto (dalla separazione di una coppia al fallimento di un’azienda, da un licenziamento a un incidente, a una malattia) capita per permettere a ciascuna coscienza di evolversi, e ciò avviene sospinti da una necessità che ci trascende e che non controlliamo. Ecco è nella coercizione di questa “necessità” che possiamo vedere l’ azione della psiche. È come se a volte una parte di noi si comportasse come qualcuno che ci spinge da dietro, per farci capire che c’è e che vuole dirci qualcosa. Se non prestiamo attenzione a questo richiesta ecco che quel “qualcuno” comincia a strattonarci o a farci cadere per indicarci quelle vie e quei passaggi che spesso non vorremmo percorrere, ombrosi o poco visibili. Sono passaggi che ci riportano sulla via buona; buona non in senso moralistico ma tale perché su essa ci sentiamo autentici e integrati con noi stessi e con gli altri.
ANGOSCIA
Ogni vero passaggio non è mai una passeggiata, ma sempre un incontro potente con l’angoscia, perché è soprattutto attraverso l’angoscia che l’io incontra il proprio destino. Questa parola, angoscia, deriva da “Angst” che significa gola, attraversamento, strettoia: immagine che dà il senso del soffocamento, ma possiamo anche immaginarla come luogo senza riferimenti, sconfinato, imponente, natura senza riferimento umano.
L’auspicio allora è di non ridurre l’esperienza che stiamo vivendo a un discorso prettamente medico ed economico, ma di aprire (considerandola un’opportunità unica) la nostra finestra interiore. Questa consapevolezza aiuterà l’azione dei sanitari, poiché se è ormai assodato che ogni malattia ha una sua valenza psichica, questa che stiamo vivendo è anche e soprattutto una prova umana che sembra voler indicare ad ognuno di noi un cambio di consapevolezza, un passaggio evolutivo.
Siamo chiamati a partecipare attivamente dando una risposta personalissima a qualcosa che ci trascende; ognuno è convocato a prendere una posizione nei confronti del mondo e della Storia, e non solo fuori di lui, ma anche dentro la sua anima.
Una metafora ci aiuta a comprendere la Psiche in questo momento: immaginiamoci in viaggio nella nostra auto. Improvvisamente il mezzo si ferma col motore acceso al massimo dei giri. Stupiti guardiamo fuori e ci accorgiamo che a tutti gli automobilisti in strada sta accadendo la stessa cosa. L’auto è la nostra Psiche e tutte le “Psiche” del mondo stanno vivendo la stessa esperienza: quindi quello che sta accadendo riguarda sorprendentemente la collettività, la Psiche collettiva. Non ci siamo inceppati soltanto noi, mi accorgo che tutti vivono la stessa mia condizione psicologica e di conseguenza capisco che la Psiche ha una parte uguale per tutti, cioè è plurale. Siamo tutti fermi coi motori al massimo e tutti siamo al massimo della fermezza. Ci sconcerta perché le auto ci stanno facendo vedere una loro “vita” autonoma che va al di là del nostro controllo e scopriamo che da quelle auto non possiamo scendere.
Come se non bastasse in alcune delle auto di fianco a noi (del vicino, dell’amico o del nostro familiare) il motore prende fuoco con le persone bloccate all’interno. E noi? Come salvarci da quell’angosciante prospettiva? I comandi non funzionano e allora cosa possiamo fare? Toccherà anche a me?
A livello collettivo avevamo perso l’esperienza diretta della morte. La pandemia ci toglie le illusioni, ma ci immette in una vita più aperta alla collettività e alla trascendenza. In fondo non abbiamo mai vissuto la guerra, i farmaci ci proteggono dalle comuni malattie, la morte la teniamo lontana in tanti modi. Ora il Coronavirus ci ha improvvisamente sbattuto la morte davanti agli occhi e lo ha fatto in tutto il mondo. L’angoscia della morte rimossa dall’Occidente è tornata, intima, dentro di me, mi ri-guarda adesso e non come pensiero di un lontano futuro o di qualcosa che ha a che fare con popoli in guerra. Ora in guerra, all’improvviso, ci siamo finiti proprio noi.
PAN: IL DIO RIMOSSO DELL’OCCIDENTE.
Per comprendere il fenomeno sotto il profilo psicologico dobbiamo pensare al concetto di Natura, non intesa come boschi, montagne e mari ma come la vita che autonomamente ci vive dentro, l’istinto con la sua autonomia. Autonomia di vita e autonomia di morte. In questo senso Natura è la metà del nostro essere, sono le pulsioni e le emozioni che la coscienza vorrebbe tenere a bada, dimenticandosi che è anche da esse che si genera.
Dicevamo che ci possono essere varie finestre interpretative del fenomeno, prendiamone una: Pandemia. gli antichi Greci attribuivano a Pan l’esperienza della Natura. Pan, mezzo uomo e mezzo capro. Con l’avvento del Cristianesimo e la rimozione del politeismo, la Natura intensa, istintuale, passionale di Pan è stata rimossa. Plutarco, sacerdote e letterato greco che visse sotto l’Impero Romano, annunciava ”Il grande Pan è morto”. Da allora la figura di Pan (corna sulla testa umana barbuta e zoccoli) è stata associata al diavolo. Pan è però la natura che vive dentro di noi, quella che si fa sentire nella nostra istintualità, nella sua coazione, nelle finalità coercitive dell’istinto, quelle che non hanno tanta mediazione con i nostri programmi coscienti perché sono le coercizioni della Specie Umana, che vanno quindi al di là della singolarità individuale. In questo senso si può immaginare Pan come una forza che ci sovra-determina. Come singoli percepiamo quindi il suo presentarsi come un attacco e uno stupro, che blocca il respiro e il movimento, poiché queste sono le sue modalità di apparire e di rendersi cosciente. Lo fa concretamente, realmente nella nostra relazione di vita. Diciamo così: non si presenta a noi con parole ma come una modalità esperienziale da viverci e che ci ruba il controllo. Si presenta a noi come è lui, esperienza diretta e non mediata. È quindi l’istinto che quando si presenta lo fa senza mediazione, crea cioè destrutturazione del controllo, caos, ma lo fa imperando da padrone, totalizzando in modo coercitivo, imponendo la sua presenza in tutta la nostra soggettività. Potremmo dire, usando una parafrasi, che è il Dio che cerca l’uomo per farsi consapevole di se stesso. Ma se questo è il suo modo di essere (destrutturazione, angoscia, incubo, panico; ma anche blocco, coercizione, intromissione), allora quella che stiamo vivendo è l’esperienza dentro cui ci precipita e attraverso la quale ci chiede di conoscerlo. Destruttura l’ordine costituito per costituirsi lui come ordine. È Natura istintuale senza mediazioni, che arriva violentemente, creando perdita del controllo e angoscia da una parte, ma dall’altra parte attivando il suo controllo bloccando il respiro. È la possessione dell’incubo. Controllati dall’invisibile. Alcune analogie: Pan era stupratore: come il virus che penetra le sue vittime senza controllo poi attiva il suo pieno controllo della vittima. Pan arrivava al meriggio, cioè quando si è in una transizione del tempo, dove giorno e notte si intersecano, in un crepuscolo fatto degli estremi di luce e di ombra, di controllabile e di imprevisto (i medici lombardi dicono che dopo le 18 c’è il picco degli arrivi delle ambulanze da Coronavirus).
NOI DENTRO LA NATURA.
Ma cosa c’entra la Natura con la pandemia e quali simbolismi sono presenti in questo nostro vissuto?
Ciò che stiamo vivendo ci ricorda che siamo parte della Natura, essa è quella parte della Psiche che ci sovradetermina. Viviamo dentro la Natura ed essa vive in noi: e non è (sempre e/o totalmente) sotto il nostro controllo. E ciò lo scopriamo sempre concretamente, cioè nei momenti in cui perdiamo il controllo o meglio nei momenti in cui questo controllo ci viene preso da qualcosa che trascende la nostra volontà e determinazione. È solo a questo punto che (ri)-scopriamo che noi siamo sovra determinati da un controllo più grande che ci sovrasta.
Il virus è in fondo una porzione della Natura, una parte per noi maligna perché aliena e distante dalla nostra esperienza comune. Infatti arriva da una zona selvatica della natura. Una scheggia molto profonda dell’inconscio che erompe ora e non a caso proprio adesso. In fondo il “quando” accadono le cose non è mai privo di senso, ma è invece un’informazione profondamente significativa a cui dovremmo saper dare ascolto e visione. È il tempo del destino che si intromette nel destino dell’io, poiché proprio adesso, in questo momento, qualcosa di importante chiede di inverarsi nella vita reale di noi umani. E Pan è divinità di sincronicità, nel senso che gli accadimenti naturali si intersecano simultaneamente ai significati psicologici. È tempo di Quaresima e tutto ciò sta accadendo anche in un momento di passaggio collettivo tra Occidente e Oriente. È sempre dentro i passaggi epocali che questi grandi eventi del destino si mostrano. Siamo in un “meriggio”, per dirla con Pan, cioè in quel momento in cui la luce e l’ombra entrano nel massimo della loro indeterminazione e mescolanza, dove l’una non impera sull’altra, nel luogo in cui le chiarezze (certezze) si diluiscono e il controllo si allenta lasciando all’ombra la possibilità di entrare. Tutto ciò permette l’erompere di contenuti naturali intensi e profondi che il controllo aveva tenuto occultato per tanto tempo. Siamo in un passaggio e il segno di questo è l’angoscia.
Siamo tutti chiamati, ora nel mezzo del guado, a riflettere su concetti come la vita e la morte, o meglio siamo chiamati a rifare esperienza collettiva di vita e di morte, perché il passaggio è vero, stavolta tocca l’esperienza diretta di ognuno di noi. In questo senso attraverso il virus la Psiche sta riattivando in noi la soggettività facendocela perdere per come era prima; azzera le certezze, crea crisi di sicurezza; una sorta di reset per ri-orientarci verso un nuovo orizzonte.
COSI’ LONTANI..COSI’ VICINI.
Cosa ci dobbiamo aspettare?
Torno alla metafora dell’auto: la mia automobile improvvisamente si ferma nel traffico col motore al massimo di giri, e tutte le altre auto intorno hanno la stessa esperienza. Poco importa che sono seduto dentro una Mercedes o in una vecchia 500, che indossi giacca e cravatta o un pile, che sia ricco o povero. Le auto sono tutte bloccate e ci imprigionano: qualcuna si incendia e il guidatore muore tra le fiamme.
Ecco, siamo tutti dentro questo stato abnorme, uno stato di eccezione in cui viviamo un’esperienza estrema: cioè siamo contemporaneamente tutti isolati eppure tutti più uniti, tutti più lontani eppure tutti più vicini, siamo tutti più esposti, ma a proteggere di più gli altri.
In questo momento questo stato così estremo è la fotografia della nostra condizione psicologica e umana. Cioè la nostra parte naturale e la nostra parte culturale o, se vogliamo, corpo e mente, materia e spirito, coscienza e inconscio, sono ora molto distanziati (e ravvicinati) e si sono estremizzati; ma in questo distanziamento sono diventati simili. Ognuno di loro si è reso abnorme nel suo funzionamento diventando l’uno l’opposto dell’altro (e anche in fondo simile all’altro). Così che se da una parte c’è una natura che si è liberata e crea perdita di controllo e angoscia, dall’altra c’è una macchina statale che sta creando un controllo coercitivo sempre più fitto e capillare. Possiamo cioè dire che se da una parte c’è “un lato” Pan, che nelle sembianze della Natura istintuale è libero, intenso, angosciante, stupra e fa esperire l’irruenza incontrollabile della vita e della morte, nell’altro opposto c’è ugualmente “un altro lato” di Pan, coercitivo e persecutorio, soverchiante, intromissivo e bloccante e che, nelle sembianze dello Stato, risponde attivando massima possessione e controllo. Possiamo cioè dire che questi sono i due poli dello stesso archetipo “Pan”; una parola antica per spiegare semplicemente la “prua” e la “poppa” di una stessa nave sulla quale noi siamo come viaggiatori seduti nel mezzo che hanno visto accadere qualcosa di aberrante ed eccezionale in un tempo brevissimo: la prua e la poppa, Natura e Cultura, si sono improvvisamente distanziate (o ravvicinate) tra di loro così da creare perdita del controllo e/o soffocante controllo in noi viaggiatori. Tutto ci sovrasta.
Seduti in un viaggio estremo, di cui non conosciamo la destinazione e del quale dobbiamo scoprire l’orizzonte.
Giuridicamente lo stato di eccezione è una sorta di bolla del diritto, una sospensione dallo stato normale del procedere giuridico. È la situazione in cui non si è più nella giuridicità normale. Questa cosa è storicamente amata da sovrani o dittatori che fanno leggi a cui non si assoggetteranno, perché si mettono appunto dentro ma anche fuori la legge che promuovono. E’ la situazione che porta i sovrani allo stesso livello di ladri, vagabondi, eremiti, monaci e anche dei malati: cioè di tutte quelle figure che hanno uno “zoccolo” nella vita della natura e l’altro piede in una “scarpa” elegante di persona perbene. Seguendo questa metafora è come se fossimo finiti (provvisoriamente) sotto un potere giuridico forte, lo Stato, che segregandoci e isolandoci l’uno dall’altro ci inserisce e ci ricrea (giuridicamente), ciò che vuole anche la natura. In altri termini è come se lo Stato diventasse lui stesso un’immagine del Dio che ci blocca e possiede totalizzandoci, per contrastare l’altro lato che ci da incubo.
Similia similibus curantur, solo il simile cura il simile. Come dire che se lo Stato ci fa fare ciò che anche la Natura vuole, il virus perde alla fine il suo potere; e lo perde proprio perché l’uomo lo ha integrato nella sua coscienza e nella sua pratica quotidiana. In fondo le cose se ne vanno fuori quando c’è le riusciamo a portare dentro, almeno un pò. Così la prua e la poppa della nave si ritrovarono, ravvicinati e riorientati nella stessa direzione.
In altri termini lo Stato si sta comportando un po’ come Pan, attuando blocco, isolamento, pieno possesso, controllo assoluto. Ci sta chiedendo di entrare direttamente dentro l’esperienza del Dio in questione per ciò che questi ci chiede – sperando che tutte le Istituzioni, Nazionali e Sovranazionali, ci entrino e che alcune non facciano come i Sovrani, cioè che si sentano dentro e fuori a scapito di altre. Tutti, cittadini e Istituzioni ci sottomettiamo ad una grande attivazione per liberarcene e liberarla. E cos’è che questo dio vuole? Potremmo dire: farci perdere il controllo; farcii riscoprire la nostra natura; farci fare una esperienza di morte e di abbandono; farci fare un passaggio; far entrare un nuovo orizzonte di vita. Farci fare esperienza di un nuovo simbolo direbbero gli psicoanalisti. A ben pensare l‘immobilità totalizzante che oggi lo Stato ci chiede non è poi per molti aspetti un’immagine simile della stessa morte che la Natura ci dà? La morte si rappresenta come il blocco del movimento e del respiro. Solo quando saremo completamente immobili e isolati si potrà dire che avremo raggiunto qualcosa di vicino e simile a quello stato di morte che oggi viene richiesto all’umanità. È il passaggio necessario che dobbiamo esperire. Solo lì saremo dentro il valico della situazione. Blocco necessario per essere come il Dio vuole, pienamente fuori dal controllo sociale perché ognuno è in se stesso, ma pienamente soggiogati dal controllo sociale. Saremo cioè a quel punto completamente dentro gli estremi di questa vicenda naturale e umana.
Ci stiamo muovendo insomma in un’area energeticamente sacra, intendendo con questo concetto qualcosa che va al di là della volontà umana senza avere valenza religiosa e dentro la quale si è tutti soggiogati, virus e governi. Facciamo tutti parte della stessa energia profonda. Ecco simbolicamente perché in questi giorni i runner e chi si muove fuori di casa non è ben visto dalla comunità … troppo movimento è antitetico all’immobilità che la stessa situazione collettiva richiede a tutti i livelli. Il movimento è vitalità mentre invece noi dovremmo dirigerci “velocemente” al valico del “blocco soffocante”. Il movimento in queste ore sta avvenendo dentro di noi. È solo lì che ci viene richiesto di farlo, il “movimento”.
PASSAGGIO
Ma come potrà attuarsi tutto questo cambiamento?
Diciamo che è come se ci stessimo prescrivendo da soli il sintomo di cui ci siamo ammalati. È una pratica antica quella del simile che cura il simile. Il valico è proprio esperire nella piena consapevolezza e condivisione il massimo dell’isolamento possibile. È li che si attuerà, consapevolmente scelta e praticata da noi, quella massima libertà e quella massima coercizione che in fondo, come la morte, ci viene richiesta da questo evento naturale. Ciò libera, come un sacrificio pienamente scelto e attuato. Ogni passaggio è terribile e sublime allo stesso tempo. Questo ci viene chiesto di fare: essere “coercitivamente liberi” da legami; ricordiamo che Sacro in fondo significa “sciolto da legami” per essere d’altra parte pienamente coercizzato dai legami stessi. Nasceranno poi nuove immagini, altre prospettive, un nuovo orizzonte; ma in fondo nascono già nuove immagini in questo iniziale isolamento poiché esso è la prima forma di riflessione su tutto ciò (reflexo significa ritiro ma anche riflessione, cioè nuovo senso).
In questa situazione circolano video di delfini tornati nel porto di Trieste ora che le navi non attraccano più; e di lepri che scorrazzano nei parchi milanesi svuotati: segni della Natura che si riaffaccia.
Mai come in questo momento si vedono quindi le persone, la loro capacità di solitudine e nello stesso tempo la capacità di tenere le relazioni con l’altro. Di fronte all’angoscia siamo tutti uguali, ma è davanti ad essa che acquisiamo la misura della nostra soggettività. Per inciso poi la lepre è un simbolo di Pan, si dice che alla sua nascita fosse stato avvolto in una pelle di lepre; come vede inconsciamente anche Lei parla ed è parlato da tutto ciò… come la natura nei parchi milanesi.
Non siamo ancora in grado di dominare il contagio, ma nemmeno di capire dove si trova il virus e come vincerlo…
Siamo sotto l’egida di un potere più grande di noi. Questo dà il segno dei nostri limiti che avevamo dimenticato di avere rispetto alla Natura. In fondo essa è la realtà che ci trascende e di cui noi facciamo parte, e non viceversa.
Siamo di fronte alla vendetta della Natura rispetto al nostro senso di onnipotenza?
Non vendetta, piuttosto riequilibrio. Umanità e natura sono entrati in un disequilibrio e la Natura ha attivato una sua risposta compensativa che ci sta facendo ricordare di essere parte di un tutto. La Natura è dentro di noi, non soltanto fuori. Dall’interno ci mette in contatto con incubi, panico, blocco del respiro, coercizione, passaggio, morte, vita.
Come ne usciamo?
Quando faremo coscientemente ciò che la situazione richiede, quando avremo sacrificato i nostri vecchi adattamenti. Ci viene chiesto di isolarci (per non ammalarci e per non contagiare gli altri) ed entrando in quarantena dobbiamo lasciare il lavoro, i piaceri della passeggiata nel parco, la gita, perdere soldi e lavoro; ma paradossalmente proprio così entriamo più in contatto con la natura vera, con l’autentica intimità con l’altro, con un nuovo senso di natura più connesso alla nostra anima. Facciamo passi indietro per riappropriarci della vita e costruiamo un nuovo rapporto con l’altro. Il sacrificio porta sempre a un risultato positivo, se fatto sul serio e stavolta è cosa seria; ci fa capire che ci troviamo di fronte a qualcosa di più grande e il collettivo predomina il nostro soggettivismo. Abbiamo già parole, concetti e prospettive nuove. E’ un giro di volta. Quindi ne usciamo quando con sacrificio lasciamo vecchi adattamenti. È li che, come un’esperienza di “morte” cosciente, passeremo il valico. Una volta rientrati in sintonia con la Natura allora la vita individuale potrà tornare alla relazione. Sarà lì per noi il segno del ritorno alla normalità e l’uscita da questo stato eccezionale; lì l’angoscia passata segnerà il passaggio fatto e i rapporti potranno riprendere non obbligati. La socialità riprenderà una vicinanza più intima e l’intimità una distanza meno soffocante. Capiremo il significato di cose che prima davamo per scontate. Ciò che era diventato automatico (una stretta di mano, un abbraccio) assumerà un significato più profondo.
E’ un passaggio di crescita per tutti gli uomini, e che lo si faccia consapevolmente o meno tutti siamo sulla stessa barca e siamo chiamati a farlo.
Un tempo c’erano le guerre da cui si usciva più uniti e consapevoli…
Esatto, ciò che sta accadendo è un’esperienza comune all’intera umanità; fortemente maturativa ed equilibrante. È un evento senza precedenti simili per le generazioni più giovani, nonostante in passato le guerre mondiali, la peste ed altre pandemie siano state molto peggiori.
Ragionare dentro un regime di sopravvivenza ci fa scoprire la sacralità della vita e di ciò che ci circonda. Simbolicamente questo perdere pezzi non più utili all’ecologia della vita è paragonabile alla psicoterapia che aiuta l’individuo a scartare ciò che lo fa vivere male.
Nell’isolamento la gente cerca di sdrammatizzare…
Anche questi comportamenti “parlano”: nella Grecia antica il dio Pan era infatti ritualizzato con balli, canti, movimento… Un po’ quello che vediamo in questi giorni sui balconi italiani. Quando la Natura si blocca, l’uomo reagisce facendo rumore perché da sempre siamo convinti che la negatività va scacciata facendo sentire che noi siamo presenti e abbiamo forza e creatività. Si tratta di riti collettivi inconsci. La gente non lo sa ma la Psiche si. In noi oggi si riverbera qualcosa che sempre vive nell’archetipo.
Quindi se da questa tragedia l’umanità ne uscirà più umana dovremo ringraziare un invisibile virus?
La Natura ci sta aiutando a vedere dove stavamo andando, ci sta facendo uscire da vecchi adattamenti. Ogni persona è chiamata a confrontarsi con queste energie numinose (terrorizzanti e al di là della nostra consapevolezza) che sono autonome rispetto a noi e legate al tema del sacro, inteso come qualcosa più grande di noi che ci sovradetermina e non come qualcosa di religioso.
Possiamo dirci (in fondo) privilegiati, perché veniamo chiamati uno a uno a confrontarci per crescere. È un momento epocale. È solo quando l’Io si confronta con qualcosa di Collettivo che, con angoscia, ogni individuo e il suo stesso destino si intersecano. È qui che si trova la misura etica del soggetto. Inoltre è molto positivo che tutti siamo attenti a tutti, forse per la prima volta, a proteggere la collettività di cui facciamo parte: comprendiamo che siamo uniti, ogni persona mi ri-guarda intimamente. Ogni mio comportamento vale a salvare la mia salute e la mia vita, ma anche quella di tutti gli altri: concetto per nulla scontato.
Nei territori dove si è capito che rispettando le regole si può non morire, emerge pian piano una nuova domanda: quando tutto questo finirà (e un po’, per certi aspetti a qualcuno, forse dispiacerà) veramente avremo fatto un cambiamento o tutto tornerà come prima?
No, non si può più tornare come prima. Comunque sia tutti siamo dentro un cambiamento; e sarà comunque una trasformazione di tutti. È un’esperienza, libera e coercitiva insieme, che è come un valico che si è attraversato, chi più consapevolmente chi meno, ma tutti saremo cambiati. Questo fatto avrà a mio parere più senso per i giovani, poiché il futuro che si apre in loro sarà figlio anche della memoria di ciò che accade oggi. Certo non tutto andrà sempre liscio, non è che non accadranno altre possibili pandemie; la Storia ci informa della loro periodicità. Ma ogni cosa arriva nel suo momento, per aggiustare il tempo se il tempo non è giusto. Jung ci descrive questo processo con una antica storiella orientale: in un villaggio le colture non crescevano più e la gente non aveva di che mangiare; chiamano allora da un lontano paese un vecchio saggio che appena arriva sul suo carro trainato dai buoi, inizia a dire che lì c’è troppa puzza, che c’era proprio una brutta aria e che per questo vuole una capanna al limite del villaggio, dove poter soggiornare tranquillo. Dopo qualche giorno la pioggia magicamente ritorna, pulendo l’aria e dando acqua alle colture. La vita riprende. Ecco come funziona il Sé psichico: il vecchio saggio, apparentemente facendo nulla, con la sua sola presenza e la sua naturale relazione con la vita, rimette tutto in equilibrio. Così è la psiche, quando un equilibrio si altera, ecco che si attiva un processo compensativo. E’ un processo naturale.
Quanto abbiamo detto potrebbe essere ancora ulteriormente approfondito; per esempio non sarebbe privo di senso aprire una riflessione sul tema del “puro e dell’impuro” che questa Pandemia ci consegna, oppure sul tema della trasmissione del contagio, aspetti che aprono al altri sfondi archetipici. Ma per ora fermiamoci ricordando un bellissimo principio espresso con parole simili nelle tre religioni cattolica, islamica, israelitica: Chi salva un solo uomo salva l’umanità intera.